Vorrei che dalla mia decisione di rinunciare alla direzione del CTA scaturisse una riflessione collettiva, una reazione per evitare che questo spazio (con lo stesso Teatro Ateneo) venga sottratto alla vita culturale e artistica dell'Università e della città... vorrei che la creazione di queste pagine sia uno stimolo per gli studenti, i colleghi docenti, gli artisti-attori-registi-compagnie teatrali, intellettuali e operatori dello spettacolo, perché intervengano nel merito, in questo spazio libero.
Valentina Valentini
Aggiornamento del 22/01/2016
Delibera del Consiglio di Amministrazione del 17 novembre 2015
Il Senato Accademico si è riunito il 24 novembre 2015 alle ore 15.30. Questi i principali temi:
CENTRI E CONSORZI
- Centro di Ricerca Teatro Ateneo - Disafferenza dei Dipartimenti costituendi - art. 15, comma 1 dello Statuto.
Parere favorevole alla disattivazione del Centro Teatro Ateneo, entro il 31 dicembre 2015 e alla nomina Commissione ad hoc ai fini della ripartizione delle poste finanziarie nonché della redistribuzione delle linee di ricerca e delle attività didattiche. La delibera del Senato Accademico.
Ho assunto, nel dicembre del 2011, la direzione del Centro Teatro Ateneo.
La prospettiva di una imminente restituzione, dopo i lavori di restauro, alla Sapienza, alla città di Roma e alla cultura italiana del Teatro Ateneo, teatro storico dell’Università e della città di Roma, mi facevano ben sperare sull’immediato futuro del C.T.A., il centro di ricerca sullo spettacolo della Sapienza Università di Roma: un modello di sperimentazione scientifica, didattica e tecnologica la cui storia si fonde dal 1981 con quella del Teatro Ateneo.
La prima e fondamentale ragione delle mie dimissioni è di carattere culturale: riguarda, il ruolo, il rango e le funzioni del Teatro Ateneo. Questo illustre teatro – luogo di nascita e di maturazione di almeno due generazioni dell’avanguardia teatrale italiana – viene considerato oggi analogo all’Aula Magna dell’Ateneo e verrà gestito da un Centro Servizi e come tale verrà trattato.
Il C.T.A. – che fino alla chiusura del Teatro Ateneo, 1997, ha programmato le sue attività di spettacolo e di laboratorio potendo usufruire dei suoi spazi e contribuendo alla progettazione delle attività teatrali, in relazione alla didattica e alla ricerca –sarà estromesso dalla sua gestione. L’Amministrazione della Sapienza non ha creduto opportuno stipulare una convenzione con il C.T.A., per la gestione delle attività del Teatro Ateneo. Non soltanto viene operata una frattura nel rapporto storico e costitutivo tra il C.T.A. e il Teatro Ateneo, ma vengono messi anche in questione i locali ristrutturati in cui il C.T.A. avrebbe dovuto svolgere le proprie attività didattiche e scientifiche: dei due piani che erano stati assegnati e restaurati in funzione delle attività del C.T.A. e del suo archivio video teatrale , ne viene concesso soltanto uno, cosa che mette in crisi anche l’allocazione dell’ingente patrimonio di video teatrali realizzati e conservati al CTA.
Nei quattro anni in cui ho svolto le funzioni di direttore del C.T.A., senza spazi idonei per i laboratori, senza aule adeguate per i corsi dei Master, senza poter disporre del Teatro Ateneo, dovendomi ogni anno inventare le condizioni minime per poter svolgere le attività previste, con la diminuzione dei contributi degli enti pubblici, il C.T.A. ha consolidato e sviluppato rapporti con istituzioni cittadine e nazionali, quali: la Cineteca Nazionale, l’Istituto Luce, il Centro Sperimentale di Cinematografia, Bic Lazio, il MIBACT Cinema (per i progetti finanziati come il Labor Story, un festival video-cinematografico sul tema del lavoro), il MIBACT Teatro (Scuola di perfezionamento professionale sulla vocalità, selezionato fra i 15 progetti finanziati nell’anno 2015). Il C.T.A. ha stipulato convenzioni qualificanti con la Fondazione RomaEuropa (per attività destinate agli studenti) e con il Teatro di Roma; ha attivato Master dedicati all’uso delle nuove tecnologie (editing digitale, restauro digitale, animazione 3D e interactive sound-light design). Il C.T.A. ha organizzato attività di tirocinio per studenti. Il C.T.A. ha erogato dei contratti di ricerca; ha realizzato progetti di rilevanza scientifica e culturale, con istituzioni quali il Goethe Institut e l’Istituto di Studi Germanici. Siamo riusciti a rinnovare le attrezzature elettroniche con il bando di Ateneo per Grandi Attrezzature (purtroppo oggi inutilizzate in attesa del trasferimento nei locali restaurati);
Di questo enorme lavoro la governance dell’Ateneo sembra non tenere un debito conto. Il C.T.A. non sembra essere considerato un interlocutore competente, per le questioni che riguardano il Teatro Ateneo, l’istituzione alla quale è storicamente, didatticamente e scientificamente legato.
Il CTA è un centro di ricerca riconosciuto, cui si rivolgono giovani ricercatori anche dall’estero, vorremmo che questa struttura fosse valorizzata, restituendola al rango che essa merita e salvaguardandone l’autonomia, anche grazie a specifiche soluzioni istituzionali. E vorremmo che il C.T.A. conservasse e incrementasse la sua relazione storica e originaria col Teatro Ateneo, garantendo la saldatura con la sperimentazione, con la didattica e con la ricerca scientifica dell’Ateneo
La situazione attuale non mi permette di essere ottimista. Anzi, le ragioni che ho esposto mi spingono a pensare che l’Amministrazione della Sapienza persegua oggi altre prospettive, di ridimensionamento, marginalizzazione della destinazione scenica di questo spazio e conseguente liquidazione di un patrimonio illustre. Questo quadro di declassamento del rango e delle funzioni del Teatro Ateneo va ad innestarsi nel più generale processo di impoverimento e di marginalizzazione delle istituzioni culturali del nostro paese.
Per questo, con grande tristezza sono oggi costretta a rassegnare le mie dimissioni dal ruolo di direttore del Centro Teatro Ateneo.
prof.ssa Valentina Valentini
Delibera Consiglio d'Amministrazione del 24 giugno 2014
Delibera Consiglio d'Amministrazione del 21 maggio 2013
Delibera Consiglio d'Amministrazione del 21 luglio 2015
Relazione attività Centro Teatro Ateneo 2012 - 2013 - 2014
Nota del Consiglio di Dipartimento di Storia dell'arte e Spettacolo dell'Università "Sapienza" di Roma
Qui potete trovare l'articolo scritto da ARTRIBUNE
Qui potete trovare l'articolo scritto da Elisa Biscotto e Angela Bozzaotra su ALFABETA2
59 risposte su “Dimissioni direzione Centro Teatro Ateneo – Chiusura CTA”
Questo mio commento non ha alcun senso di esistere. Io stesso non ho senso di esistere agli occhi della Sapienza università di Roma, perché tanto le tasse le ho già pagate. L’interesse del rettore e degli organi direttivi dell’ateneo nei miei confronti si mantiene vivo e addirittura appassionato, infuocato, nei pochi giorni in cui si mobilita per ricordarmi che devo andare a pagare il loro bollettino presso la loro banca di riferimento.
Conclusasi questa faccenda sprofondo nell’oblio come tutti i miei compagni di studio: semplicemente non esistiamo più; l’ultima conferma è arrivata dalla recente organizzazione, all’interno della città universitaria, del Maker Faire, ovvero una sagra dell’ipertecnologico per cretini, totalmente privata, finanziata da multinazionali di tutto il mondo, che in pieno ottobre ha significato blocco della didattica e divieto per gli studenti di entrare nel loro ateneo senza pagare un biglietto, pena cariche della polizia, naturalmente.
Quindi figuriamoci cosa diavolo gliene possa fregare al rettore et similia delle mie parole, e cosa ancor più grave delle parole degli illustri nomi che mi hanno preceduto in questa pagina di commenti.
Romeo Castellucci, Chiara Guidi, Massimo Marino, Giorgio Barberio Corsetti, Ermanna Montanari e tutti quanti noi, possiamo stare tranquilli: non contiamo che uno zero tondo tondo, tutti allo stesso modo, perchè l’associazione a delinquere che governa La Sapienza oltre che fregarsene totalmente è anche profondamente ignorante, il che è ancor più grave.
Le dimissioni di Valentina Valentini e la denuncia dell’osceno trattamento riservato al Centro Teatro Ateneo sembrano non essere nemmeno arrivate a chi sono state indirizzate, tanta è l’indifferenza.
Indifferenza figlia di un mondo, di una non-cultura, che guarda alle discipline umanistiche con la stessa disinvolta tenerezza con la quale si potrebbe guardare per strada a un gatto randagio pulcioso e simpatico; un mondo economico/giuridico/finanziario che in barba a secoli di scienza e cultura in Occidente pensa di tenere in mano le chiavi della Conoscenza, e che produce uomini che considerano la letteratura, il teatro, le discipline dello spettacolo, delle arti visive e del cinema niente di più che un simpatico passatempo, un hobby da dopolavoro – come non pensare a quei simpatici ometti che, quando gli dici di studiare la storia dell’arte, o il teatro o il cinema, ti guardano con un sorriso di compiacimento e pietà?
Perciò per queste persone il fatto di costringere il teatro ateneo ad abbandonare il teatro inteso come ricerca – non sanno nemmeno cosa si intenda con questo concetto – per farne un salotto di recite teatrali in cui medici e avvocati si esercitano nell’arte dell’eloquenza, è del tutto normale e intrinseco alla loro cultura;
perciò per queste persone la dispersione e la distruzione dell’archivio del centro teatro ateneo è del tutto ininfluente e in fondo covano il pensiero che siamo noi, che siamo esagerati, con le nostre paranoie, che magari in fondo “so cassette, ao, ammucchiale in quel corridoio in fondo, che è pure più fresco là”.
Io mi vergogno profondamente di avere una laurea a nome sapienza università di roma – e questo, sia chiaro, ben prima delle vicende legate al cta.
Mi vergono profondamente di portare nel mio curriculum tracce della sapienza università di roma, e difatti di recente ho incominciato una oscurazione totale di questi termini dai miei profili.
Tutto ciò che di buono, di decente, ho svolto nella mia carriera universitaria lo devo al Centro Teatro Ateneo diretto da Valentina Valentini: stage, seminari laboratori. Tutto.
Quando ero iscritto alla triennale, e pur pagando profumatamente per avere un’istruzione nell discipline dello spettacolo, non avevo alcuna alternativa all’oziare nei luridi pavimenti della facoltà di lettere, il centro teatro ateneo ha raccolto me e tanti miei colleghi e ci ha messo in sale prova di fortuna, recuperate con fatica, a studiare il Teatro con alcuni dei più importanti nomi della scena italiana e internazionale; mi ha poi messo in mano delle videocamere (!!!) e fatto sedere davanti a un computer (!!!!) per studiare i principi dell’immagine fotografica e audiovisiva, e mi ha fornito le basi delle tecniche di ripresa e di editing digitale.
Il tutto grazie a persone (IVANO FORTE, FERDINANDO DI CAMILLO e altri) che di fronte a risorse quasi inesistenti hanno trovato i mezzi e le forze per portare avanti con spirito di sacrificio il laboratorio audiovisivo del cta.
Oggi studio restauro audio/video all’interno di un master organizzato dallo stesso cta: grazie a questo master sono a conoscenza dell’importanza dell’archivio del centro teatro ateneo e di quanto le ultime direttive della Sapienza vadano a mettere seriamente a repentaglio le condizioni di integrità dello stesso.
Io non sono uno studente della Sapienza, sono uno studente del Centro Teatro Ateneo.
Il giorno in cui questi non esisterà più – quel giorno sembra avvicinarsi di mese in mese – sarà andata perduta l’unica risorsa formativa che accompagnato il mio percorso e quello di tanti altri.
Sostengo vivamente la posizione della Professoressa Valentina Valentini contro l’ingiustizia del declassamento del rango e delle funzioni del Teatro Ateneo.
Ritengo sia davvero sintomatico del graduale disinteresse delle istituzioni verso il settore umanistico, sempre più relegato alle funzioni del mero intrattenimento e meno alle pertinenze di ricerca sull’arte e sulle diverse forme mediali.
In questi anni il master di cui sono tutor ha stipulato, oltre ai partenariati con Cineteca Nazionale, il laboratorio L’Immagine Ritrovata e l’ICRCPAL (Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario), anche convenzioni per i tirocini con archivi internazionali come George Eastman House (Rochester – New York), CNC- Archives Françaises du film (Bois d’Arcy), Cinémathèque Royale de Belgique (Bruxelles), Österreichisches Filmmuseum (Vienna) e da quest’anno saranno nostri partner anche EYE Film Institute (Amsterdam) e Filmoteca de Catalunya (Barcellona), nonché importanti laboratori come La Camera Ottica (Gorizia) e AV Preservation (Losanna). Si è potuto così garantire agli studenti una serie di esclusive occasioni di formazione professionale, costituendo davvero un’eccellenza internazionale per una formazione d’avanguardia, che in quanto a rete di contatti e partenariati non teme la concorrenza di analoghi programmi di prestigiose istituzioni universitarie europee ed americane.
Eppure sembra non ci siano i presupposti per godere di una minima considerazione; se la stessa università declassa il valore, la portata e i meriti di un centro di ricerca, tutti i percorsi di legittimazione della ricerca nel settore umanistico diverranno inutili, svalutando il senso di interi ambiti disciplinari agli occhi della comunità scientifica internazionale.
Condivido il link ad un articolo interessantissimo uscito oggi:
http://www.alfabeta2.it/2015/10/22/teatro-ateneo-o-centro-servizi/
C’è qualcosa di diabolico nel restaurare un teatro e renderlo poi teatralmente inattivo. C’è un alito di malvagità nel decretare che uno spazio – che ha contribuito a fare la storia recente del teatro in Italia – possa essere meglio gestito da un Centro Servizi piuttosto che dal Centro Teatro Ateneo, che quella storia ha promosso, devotamente studiato e documentato. La parola che sorge spontanea, pensando delle sorti di questa scena, è “osceno”. Anche per l’etimologia, magari falsa, ma che piaceva a Carmelo Bene.
Cara Valentina, in una Roma che santifica le mafie e avvelena i sindaci, lupesca – come leggo oggi su un quotidiano – una Roma che consacra e divora, il tuo gesto chiaro passerà forse inosservato. Non lo sarà per tanti di noi, in Italia, che abbiamo fatto del teatro e dello studiare teatro non solo una professione, ma una scelta, di passione e pure di vita.
Vorrei sperare – ma non mi illudo troppo – che ciò che oggi viene proposto come “gestione ottimale” del restaurato Teatro Ateneo, da affidare una Amministrazione Centrale, sia un disegno provvidenziale, momentaneamente sottratto alla comprensione umana. E che la stima che nutriamo per il tuo lavoro, importante e indispensabile, sia stata turbata, come assicurava l’autore dei Promessi Sposi, per prepararne una “più certa e più grande”.
Di fronte questa agghiacciante notizia, non ci sono parole che possono esprimere la tristezza e la rabbia di chi come me ha avuto la fortuna di vivere il Teatro Ateneo. Se l’arte, la sperimentazione e la ricerca non vengono considerate degne di supporto e di valore da parte dell’amministrazione dell’università che dovrebbe svolgere il ruolo di promotrice di esse, allora che futuro potranno avere i nostri studi, le nostre ricerche e le nostre arti in Italia? Che futuro potrà avere l’Italia?
Ho trascorso quasi dieci anni studiando e formandomi tra le mura del DASS di La Sapienza. Nei primi anni in cui cercavo di dare un senso alla mia formazione, in cui spasmodicamente mi interrogavo su quale fosse, o se esistesse un modo per mettere in dialogo la mia pratica del corpo (come danzatrice e performer) e i miei studi teorici sulle arti performative, il Teatro Ateneo mi offrì un primo spiraglio di luce. Quello spazio, i laboratori, e gli artisti che ho avuto modo di incontrare in quel Teatro, mi hanno offerto la speranza di guardare al futuro come una POSSIBILITA’ da scoprire, da ricercare, da vivere.
Nonostante la ristrutturazione del teatro, Valentina Valentini ha sempre lavorato affinché il Centro Teatro Ateneo potesse restare a livello internazionale un esempio per la ricerca scientifica, la sperimentazione e lo sviluppo delle tecnologie utili al teatro, alle performance, alla danza e al cinema.
Se l’Amministrazione di La Sapienza lavora con i numeri allora anche io vorrei provare nel mio piccolo ad elencare dei numeri. Grazie ai laboratori del Centro Teatro Ateneo ho avuto modo di lavorare con registi come:
1) Giorgio Marini. Il laboratorio organizzato dal CTA per la messa in scena di “Il Giavellotto dalla Punta D’Oro” ospitò più di 20 studenti. Lo spettacolo ha debuttato alla Biennale di Venezia durante il 40° Festival del Teatro, dando ad alcuni degli studenti la “possibilità” di lavorare come professionisti del settore.
2) Giorgio Barberio Corsetti e il coreografo Ricky Sim (Teatro d’Arte di Singapore).Il laboratorio coreografico organizzato dal CTA per lo spettacolo “Città Visibili” ospitò circa 15 studenti. Lo spettacolo fu presentato al Napoli Teatro Festival, e diede la “possibilità” ad 11 di quegli studenti di fare un’esperienza performativa unica nel suo genere.
3)Dopo quattro anni di ricerca svolti in Germania all’interno di Motion Bank (l’ultimo progetto multidisciplinare del coreografo William Forsythe), una volta tornata in Italia, il Centro Teatro Ateneo ha supportato il primo laboratorio a Roma su danza e neuroscienze cognitive, da me organizzato e attuato lo scorso dicembre (2014) con Riley Watts (performer della The Forsythe Company e Ricercatore Associato del “Dance Engaging Science Workgroup”). Questo laboratorio ha ospitato ed ha offerto una “possibilità”: una piattaforma per la sperimentazione pratica a più di 35 partecipanti.
La coraggiosa decisione di Valentina Valentini di rassegnare le dimissioni come direttrice del CTA, deve essere un esempio e monito per lottare e affermare con valore la necessità del NOSTRO TEATRO e del Centro Teatro Ateneo a La Sapienza, Università di Roma.
Oggi dobbiamo rispondere NO! A chi ci priva dell’arte, dell’istruzione e della ricerca. Oggi, possiamo ancora opporci a chi dice SI! Ad una sala congressi a discapito della nostra formazione. Oggi possiamo fare qualcosa per offrire POSSIBILITA’ alle future generazioni che determineranno l’evoluzione e l’andamento ideologico del nostro paese.
Il Teatro è un laboratorio sacro in cui si forgiano i pensieri e le qualità creative umane. Non permettiamo all’amministrazione di toglierci ciò che precede e sopravvive la nostra coscienza.
Cara Valentina,
condivido pienamente la tua decisione delle dimissioni, ma sono fortemente spaventata per quello che sta accadendo: è l’ennesima conferma del feroce degrado culturale che caratterizza questi ultimi anni!
So che posso fare ben poco esprimendomi in questo spazio virtuale e per questo evito di dilungarmi e di esprimere il mio personale rammarico e dispiacere. Penso che bisognerebbe solo passare alle vecchie forme di protesta, formando una comunità reale e attiva concretamente, una comunità in cui ci sia confronto e dialogo vis-a-vis per capire e delineare quale azione culturale adottare per fermare le strategie di sradicamento della cultura!
Quando frequentavo l’ Università il Teatro Ateneo era il luogo in cui mi sono formata, insieme a tanti miei colleghi. Due anni fa in qualità di regista, pedagoga e direttore del Teatro Biblioteca Quarticciolo ho partecipato ad un progetto di formazione e di spettacoli dal vivo “La terra sonora: il teatro di Peter Handke” ideato da Valentina Valentini e Francesco Fiorentino che coinvolgeva numerose compagnie teatrali romane e nazionali, studenti universitari e cittadini che abitano il centro e la periferia della città. Questo progetto ha avuto una ripercussione importante su Roma per il grado di partecipazione che ci è stata e per la qualità e la varietà delle proposte presentate. Questo ed altri progetti, realizzati sempre con economie minime, dimostrano come la nomina di Valentina Valentini ha rappresentato un segno importante di rinnovamento, in cui tutti noi abbiamo sperato. La futura apertura del Teatro Ateneo sotto la guida di Valentina Valentini poteva far rivivere alla città un momento di vivacità culturale e di rinnovamento della pratica e della pedagogia teatrale, di cui hanno estremo bisogno sia gli artisti, gli studenti e i cittadini. Per questo sono molto dispiaciuta che Valentina Valentini sia stata messa nella condizione di doversi dimettere. Essere costretti a rinunciare a un insegnante e un’ intellettuale così preparata che da sempre porta avanti un percorso pedagogico di grande originalità e molto triste. Una Università con al suo interno un teatro poteva essere un’ottima possibilità per formare futuri studenti e artisti capaci di studiare e praticare un teatro di qualità capace di dialogare con il nostro tempo presente. E’ inaccettabile l’idea di utilizzare il teatro Ateneo nelle modalità che vengono descritte qui sopra e voglio lanciare un invito ai miei colleghi a riunirci e a discutere per capire in che modo è possibile intervenire in merito a questo.
Valentina Valentini non è solo una intellettuale di rilevanza internazionale, come altri hanno già perfettamente evidenziato, ma è soprattutto una persona fattiva, che dà il meglio di sé sul campo, non perde tempo in questioni puramente accademiche. Da sempre è una agguerrita paladina degli studenti, ed è riuscita a creare una cerchia di allievi con una forte vocazione allo studio dell’arte e della performance contemporanea.
Il teatro non è un luogo “utopico” ma è un luogo in cui vivono contemporaneamente più spazi e tempi: è un luogo “eterotopico”, in cui è possibile fare esperienza. Anzi, è proprio l’esperienza l’altissima qualità specifica del teatro.
D’altro canto il Teatro Centro Ateneo ha sempre avuto nel suo DNA una forte vocazione alla documentazione, allo studio e all’incontro con i Maestri della scena contemporanea.
Il teatro non è un servizio ma piuttosto una “rivelazione”, un misterioso miracolo.
Ho ormai la certezza che la scuola non sia più in grado di garantire qualità e spessore soprattutto quando dà agli allievi titoli e “medaglie”. La scuola è un luogo in cui nulla veramente viene messo in discussione, e non si premia l’eccezionalità dei progetti. L’arte, invece, è l’eccezione.
Perché dunque si punisce una presenza così viva come Valentina Valentini, che ha sempre mostrato una forza e una tenacia uniche?
Perché si punisce un luogo fondamentale in cui poter fare “profonda esperienza” del teatro?
Perché si destina ad un “centro di servizi” un teatro riportato con tanta fatica ad un ruolo determinante nell’Ateneo?
Per questa distrazione, noncuranza e per la miopia della decisione presa, e non solo per la solidarietà, che pure profondamente sentiamo, ci vediamo costretti a “dimetterci” anche noi dalla partnership del progetto di Valentina Valentini sulla voce, che avrebbe dovuto tenersi entro l’anno accademico.
Davvero peggio di così non poteva essere.
Le dimissioni di Valentina Valentini e, in primo luogo, le ragioni che l’hanno spinta a questo passo mi hanno sconcertato. Conosco l’impegno che ha messo, in questi anni, per portare avanti un progetto complesso, difficile ma importantissimo come quello del CTA, in situazioni operative non sempre facili e quindi la sua decisione assume un rilievo di denuncia più che di rinuncia e come tale lo accolgo.
Il Teatro Ateneo è un delle istituzioni teatrali che, fin dalla sua fondazione, ha avuto un ruolo determinante nella vita teatrale e culturale romana ed italiana. Un susseguirsi di sventurate vicende ha fatto sì che fosse chiuso, a intermittenza, per lunghi periodi. Ora che era pronto per riprendere la sua funzione, la notizia di cui ci dà conto Valentina con le sue dimissioni, lo sottrae nuovamente, e stavolta per ragioni non tecniche, alla sua naturale destinazione teatrale. Un teatro è un teatro. Un teatro deve essere un teatro. Non è uno spazio pubblico assimilabile ad altri. Ciò che conta non è solo la sua capienza, ma la sua specifica identità. Ora verrebbe naturale pensare che una istituzione al cui interno agiscono un centro di ricerche teatrali ed un edificio predisposto per le rappresentazioni sceniche vengano concepiti in sinergia. Così non sembra essere e questa cosa mi sembra molto grave. Segnala, come già molti prima di me hanno scritto, un disagio culturale, la cesura di una storia e di una progettualità.Oltretutto Valentina, ad aggiungere gravità alla gravità della situazione, parla anche della riduzione degli spazi del CTA, con un danno evidente riguardo alle sue possibilità progettuali di archivio e laboratorio.
Voglio sperare che la decisione che è stata assunta sia il frutto di un qualche malinteso gestionale e che ci siano i tempi, in modi e l’intenzione, soprattutto, di tornarci sopra. Tornare a vedere il Teatro Ateneo pienamente attivo come teatro, tornare a vedere il CTA pienamente attivo come centro di ricerche teatrali è un interesse collettivo, un segnale che l’Università italiana è ancora viva e presente nella vita culturale.
Con dispiacere profondo e delusione che vengo a conoscenza delle dimissioni di Valentina Valentini da direttore del teatro Ateneo, come editore universitario e amica mi sento ferita da questa scelta istituzionale di un utilizzo a mio modestissimo parere “improprio”, limitato e limitante del teatro Ateneo. In questo nostro momento storico nel quale sembrano non esserci possibilità di manifestazioni culturali, Valentina si è sempre mostrata pronta a trovarne, a cambiare e a inventare soluzioni “creative” anche quando sembravano non esserci, la ritengo uno dei docenti più attivi della Sapienza e con questa scelta viene messa in un angolo. Credo sia possibile e doveroso da parte del Rettore ravvedersi e valutare un passo verso nuove possibilità. Con stima Anna Bulzoni
Oltre a esprimere piena solidarietà, condivisa dai colleghi degli insegnamenti di teatro di Roma Tre, a Valentina Valentini, vorrei ringraziarla per la generosità e la lucidità con cui, attraverso le sue dimissioni e la lettera che le accompagna, allinea un macroscopico caso di esproprio di un luogo di esperienza e pertinenza teatrale a un processo complessivo in atto. La sottrazione della gestione e della programmazione del Teatro Ateneo al CTA è purtroppo, come è stato rilevato anche da molti commenti, un ennesimo sintomo di declassamento ed emarginazione del sapere e del fare teatro, che, ben oltre le questioni amministrative della Sapienza, coinvolge la situazione degli spazi scenici romani e devasta quelle che dovrebbero essere le condizioni fisiologiche e le potenzialità del rapporto tra Teatro e Università.Chi vive quotidianamente la difficoltà di difendere i presupposti minimi per le attività laboratoriali e i progetti complementari alla didattica in campo teatrale, sa bene che ormai il respiro e la presenza del teatro vengono considerati fattori di disturbo nella destinazione degli spazi e delle risorse degli atenei. Bisogna che docenti, studenti e artisti continuino a pronunciarsi e prendano iniziative per la difesa delle tradizioni, delle dotazioni e delle competenze del CTA, e adottino la situazione del Teatro Ateneo come caso esemplare della questione vitale degli spazi della cultura e della sopravvivenza del teatro a Roma.
Raimondo Guarino
Professore Ordinario di Discipline dello Spettacolo
Coordinatore Didattico Corsi di Studio DAMS dell’Università Roma Tre
A nome dell’ AIRDAnza e mio personale esprimo sgomento per le decisioni prese dalla Amministrazione della Università La Sapienza, nonché piena solidarietà con Valentina Valentini, la cui professionalità e la cui sensibilità culturale sono la garanzia perché il Teatro Ateneo risorga a nuova vita in una dimensione rinnovata e all’altezza delle sfide della cultura e erano della società contemporanee. Personalmente ricordo bene quanto, nei tempi in cui ero studentessa alla Sapienza, il Teatro Ateneo sia stato importante per la mia personale maturazione. Che questo storico teatro, in cui è passata tanta dell’avanguardia italiana e internazionale, sia privato di una “testa” in grado di renderlo nuovamente uno dei protagonisti della vita culturale italiana è del tutto impensabile.
Ci auguriamo che si faccia strada nella Amministrazione della sapienza una piena consapevolezza delle necessità vere di questo teatro, e proprio della necessità della dimensione teatrale nella formazione didattica e civile.
La famosa commedia Italiana del “auto-gol-culturale” continua pericolosamente verso un piu’ serio livello non-lontano da Hari Kiri culturale… Valentina ha dedicato la sua vita ad alzare la coscienza collettiva verso un possibile presente e futuro contemporaneo – un utopia impossibile ma vicino. Un utopia per la quale noi lavoriamo da cani e santi ogni giorni
SHE CANNOT QUIT! WE NEED HER and responsabile Istituzioni!!! AND THE MARVELOUS DREAM OF A TEATRO ATENEO VIVENTE E VERO! Basta con la disfunzionalita’ Italiana!!!
Per chi, come il sottoscritto, ha trascorso dalle parti del Teatro Ateneo anni decisivi per la propria formazione e lì ha visto definirsi, crescere e maturare le proprie passioni non è nemmeno pensabile che il bagaglio di storia, di intelligenza, di esperienza e di libertà che in quei locali si è accumulato negli anni, grazie alla dedizione dei suoi direttori e di tutte le persone che vi hanno collaborato – dagli artisti agli studenti agli uscieri – possa essere interrotto, spezzato e seppellito. L’insensata battaglia contro i saperi umanistici e artistici di cui parla Martha Nussbaum nel suo “Non per profitto” passa, più o meno subdolamente, anche per decisioni come quella assunta dal governo della Sapienza nei confronti di una sua propria speciale risorsa.
Ormai da tempo a Roma gli spazi culturali e di spettacolo si stanno riducendo in modo drastico per lasciare il posto a siti istituzionali totalmente inadeguati a rappresentare la cultura della città e del paese. La vicenda del Teatro Ateneo è un ulteriore atto in questa direzione che degrada l”istituzione universitaria a complice di questa decadenza.
Cara Valentina, abbiamo letto solo oggi il comunicato delle tue dimissioni. Che tristezza! E’ assurdo, e nello stesso tempo fa ormai parte della logica corrosiva del nostro quotidiano, che un lavoro qualificato di anni, una passione e una dedizione all’arte e alla conoscenza, vengano “trattati” in questo modo. Fai bene a dare un segnale forte, ma questo segnale va recepito da tutti: ed è altrettanto assurdo che il MIBACT vi “riconosca” ma poi non ci siano le condizioni minime indispensabili per portare avanti l’attività. Cosa possiamo fare? Diteci voi se c’è il margine di manovra per provare a rovesciare la situazione. Un grande abbraccio! Ermanna e Marco
o vorrei fossero fatti i nomi, perché tali nomi esistono e sono noti. I nomi di chi persegue l’innaturale e assai sospetta separazione fra Centro Teatro Ateneo e gestione del Teatro Ateneo. I nomi di chi priva l’università di un tale patrimonio per perseguire interessi che temo non riguardino il bene comune. Io vorrei sapere chi è responsabile di un atto tanto grave, tanto ingrato, tanto violento, tanto contro l’armonico svolgersi delle cose. Sappiamo tutti che non vi è un solo dubbio su Valentina Valentini: io non conosco altri docenti così capaci, caparbi, instancabili, combattivi, amorosi, appassionati, sensibili e inventivi. L’averla costretta alle dimissioni, per chi conosce le sue doti e la sua resistenza, segnala la presenza di forze contorte, oscure, preoccupanti. Venga detto che cosa si intende fare. Venga motivato l’assurdo di separare il Centro Ateneo dalla gestione del Teatro. Venga motivato perché si consegni il Teatro ad un centro servizi. Il Teatro, è luogo vivo, non semplice spazio architettonico. Il Teatro ha bisogno di energie umane appassionate e capaci, al fine di svolgere la sua funzione. Ha bisogno di un magistero, di qualcuno che conosca, che proponga, che diriga, che guidi, che educhi, che stimoli: tutti verbi che Valentina Valentini, da anni, abita magistralmente.
Tutto ciò è tristissimo. E molto preoccupante.
La presenza di teatri organicamente legati alla didattica e alla ricerca fa la differenza degli studi teatrali negli Atenei italiani. Fra questi, il Teatro Ateneo è stato storicamente capofila, e in molte fasi della sua esistenza ha svolto iniziative di merito e rilievo nazionale e internazionale. La direzione di Valentina Valentini, negli ultimi anni, ha aperto il Teatro Ateneo al raccordo con le scene performative delle nuove generazioni e ha impresso grande dinamismo di iniziative e ricerche. Apprezzo la denuncia puntuale che Valentini compie delle pastoie burocratiche e politiche che al momento avvolgono la vicenda del Teatro Ateneo e auspico una meditata riflessione degli organi competenti, affinché il Teatro resti incardinato nella ricerca, nella didattica, luogo vivo per la comunità degli studenti e dei docenti; auspico che sia possibile tornare sui propri passi e confermare il legame organico con l’omonimo Centro.
Esprimo la mia più profonda solidarietà nei confronti della Professoressa Valentini, e la ringrazio per aver compiuto un gesto che seppur difficile e doloroso è un atto di rispetto nei confronti di noi studenti. Ha detto bene Giorgio Barberio Corsetti, “togliere agli studenti di teatro il Teatro è impedire loro di sperimentare la materia che studiano, è come sequestrare i pennelli e i colori ai pittori”, è impedirgli di crescere e formarsi come persone ancor prima che come studiosi/critici/professionisti del settore. Sì, perché credo che oggi più che mai chi decide di intraprendere un percorso di studi rischioso, chi ancora agisce, sperimenta, crea e vive per un mondo esposto alla totale indifferenza delle Istituzioni, lo faccia per ragioni ben più profonde che la scelta di un mestiere. La lettera di dimissioni di Valentina Valentini getta una luce inquietante sul ruolo ambiguo che gioca oggi l’Università Pubblica in Italia: incapace ormai non solo di intervenire per tutelare il futuro dei suoi laureati, ma anche di essere attiva nella costruzione di un presente per i suoi iscritti. Un presente fatto di stimoli, iniziative, progetti, trasmissioni di saperi non codificati in volumi, perché la formazione è impensabile senza che dietro vi sia una condivisione. Si sta pericolosamente passando dalla “fuga dei cervelli” alla “morte dei cervelli” e questo, da giovane, mi terrorizza perché ho paura che tra poco non si avrà più neanche la consapevolezza di ciò che ci viene tolto. È la violenza più atroce e silenziosa insieme. La vicenda del Teatro Ateneo non è la battaglia personale della Professoressa Valentini, né degli studenti del Dass e degli artisti. Riguarda una privazione che si sta perpetrando ai danni di una collettività che non merita di essere incitata dai propri punti di riferimento a sopportare il vuoto.
Non restituire il Teatro Ateneo alla sua funzione di teatro sarebbe un gravissimo atto contra la ricerca scientifica, contro quella teatrale, contro la memoria. Sarebbe un atto che priva Roma, una capitale già culturalmente al di sotto dei bisogni e indietro rispetto a altre capitali europee, di un luogo di elaborazione artistica e culturale importante. Sarebbe un’offesa a nomi come quelli di Eduardo De Filippo, Carmelo Bene, Leo De Berardinis e altri, che tra quelle mura hanno trovato, per periodi più o meno lunghi, una casa di lavoro.
protesto!
Posso solo esprimere il rammarico per la perdita di un’occasione così importante. E il mio dispiacere personale per la povertà della risposta istituzionale ad un problema gestionale che investe il carattere pubblico della dimensione culturale del teatro, in senso lato. Perdere la fitta rete di rapporti che Valentina Valentini ha intrecciato attorno al Teatro Ateneo in questi anni mi sembra un clamoroso spreco di risorse, ed un grave atto di miopia culturale.
Che disastro! ….quando il teatro o meglio l’università riesce a trovare delle visioni di programmazione che mettono l’accento sul processo di lavoro e non sull’opera scatta la trappola e tutto si arresta.
Il teatro ha bisogno di riflettere su se stesso! Mai come in questa epoca.
Ha bisogno di rientrare in sè. Di fare esercizio. Di porsi domande.
Le programmazioni dei teatri e dei festival sono luoghi di consumo. Necessari, ma il teatro Ateneo poteva essere lo spazio ideale per ricongiungere scuola e teatro, pensiero e azione.
Le idee vanno portate. Letteralmente sulle spalle. Come le madri portano i loro figli. Questo Valentina lo ha sempre fatto e le sue dimissioni non possono non interrogarci sul tempo nel quale il teatro che vuole nascere è costretto a vivere.
è vero che il teatro si può fare anche agli incroci stradali e che lo sprone della mancanza di mezzi spesso stimola la creatività… ma perché farsi del male da soli!? Se una università ha la fortuna di possedere una bella sala per le attività sceniche perché depotenziarne le possibilità togliendola alla sua naturale gestione? Mi piacerebbe sapere che alla fine vincerà il buon senso.
Esprimo tutta la mia solidarietà a Valentini Valentini per la sua decisione. Spero che questa dimissione contribuisce che l’università riconosca infine la necessità di rinnovellare la convenzione fra il CTA e l’Istituto di teatro della Sapienza: Il Centro Teatro Ateneo era un modello unico in Europa per una integrazione di ricerca teorica e pratica teatrale ad un’ alto livello artistico e intellettuale. Per mantenere e continuare una tale esperienza di cui si sono ispirate le creazioni ulteriori come anche l’Istituto teatrale di Giessen, le strutture del CTA (il teatro, la videoteca, i laboratori audiovisivi) sono vitali.
Veramente non so che dire, non perché sono uno straniero e non riesco di usare le parole giuste. Mi sono scioccato a sentire dimissione della Prof.ssa Valentini.
CTA per me come uno straniero, era il miglior posto di spremintare quello che mi ha fatto venire qui in Italia: Cinema, Digitale, Arte performative e corsi pratici.
IL TEATRO è ESPERIENZA
e l’esperienza è pericolosa, incontrollabile, incommensurabile.
l’esperienza teatrale poi, ha una qualità curatrice e trasformante, che nella realtà, nelle maglie dell’asfalto quotidiano, non ci si può permettere, si schianterebbe troppo forte. il problema, lo diciamo, lo pensiamo, non riguarda solo teatro, ma il nuovo modello di società incivile a cui ci stanno portando, per infilarci in una dimensione di realtà virtuali sì, ben controllate e scelte. siamo una minoranza – lo sapete? – che ancora se ne accorge, e che si guarda intorno e che resiste, e sbatte, e si batte, e si sbatte. più ci toglieranno luoghi, però, più dalla testa mozzata sgorgheranno altri e tanti mondi. Abbiamo assistito a situazioni analoghe e altre saranno. Stima profusa per chi si batte e sbatte ancora, e punta i piedi, e dice QUESTO NO. Coraggio cara Valentina Valentini, non è sola, basta il rintocco e noi si arriva a darle forza (mica tanta, eh, quel poco di rimasto).
A CHE I POETI? nello slittamento semantico, rimando all’eco questo intrigo che qualcun’altro ha detto meglio. FC
Il punto non è solo la salvaguardia del glorioso passato del Teatro Ateneo ma la potenzialità futura di un luogo che sappia declinare il teatro in ciò che diviene…
Il fatto che sia stato un epicentro dell’avanguardia teatrale mondiale è determinante (a partire da me, per i momenti illuminanti che ho vissuto e per la collaborazione con Marotti, nella realizzazione del concept video su “Scene senza Confini” trent’anni fa circa) nel comprendere quanto quelle intuizioni abbiamo anticipato ciò che oggi viene definito innovazione: una condizione che non riguarda solo l’evoluzione tecnologica ma le nuove sensibilità della progettazione creativa e ciò che si sta sempre più rivelando come una delle chiavi per attraversare la grande crisi di transizione, la resilienza.
Il fatto di pensare il Centro Teatro Ateneo come un luogo strategico dove armonizzare pensiero-azione teatrale con le diverse forme del performing media è decisivo per dare forma al nostro tempo. E dare senso al fatto che cultura, nel suo etimo, è il participio futuro di “colere”: coltivare ciò che diviene. E’ decisivo per un mondo che sta cambiando molto molto velocemente. In quel contesto sarebbe possibile creare una cinghia culturale di trasmissione. Ne abbiamo bisogno, altrimenti il rischio entropia è troppo grande. Non può diventare il solito contenitore inerte di quei talkshow che stanno indebolendo tutto il nostro sentire.
Esprimo tutta la mia solidarietà a Valentina Valentini, che è stata costretta a dimettersi. Prima di arrivare a questo gesto estremo, ha cercato, come racconta, tutte le strade possibili del dialogo. Ma evidentemente dall’altra parte c’era un interlocutore sordo alla storia dell’essere umano, perché è di questo che si tratta. Con la chiusura del Teatro Ateneo, già da tempo la città di Roma era stata resa più povera, come oscurata. Ora rischia la desertificazione. Sull’attesa della riapertura di quel luogo e delle attività legate ad esso abbiamo costruito le nostre speranze di spettato, critici, artisti, docenti e studenti. Io mi sono formata in quei luoghi, ci ho studiato, ho visto i primi spettacoli della ricerca italiana e internazionale potendo fare a mia volta ricerca, sviluppando una sensibilità critica sulle parole e i gesti di grandi maestri. Il mio senso di gratitudine verso quella stagione dell’arte teatrale è immenso. Perché al Teatro Ateneo e al Centro Teatro Ateneo ho imparato l’importanza del dialogo e l’arte della trasfigurazione. Per cui questa notizia suona come la messa a morte di ogni dialogo e di ogni capacità di cambiamento. Ma, come ci hanno insegnato i maestri che abbiamo incontrato in questi luoghi del pensiero teatrale, niente muore mai veramente. Finché c’è memoria. Tutti insieme dobbiamo fare in modo che le dimissioni di Valentina Valentini non suonino come una capitolazione. Ogni gesto di rammemorazione nel tempo presente potrebbe essere di vitale importante.
Al Centro Teatro Ateneo mi sono formata, grazie alla disponibilità degli archivi, degli spazi e dei laboratori, grazie alle stagioni di programmazione incentrate sulla scena contemporanea, accessibili a noi studenti – parlo degli anni Novanta – per poche lire. Per studiare teatro bisogna farlo e vederlo. Le nuove generazioni di artisti a Roma non hanno più spazi di studio e sperimentazione, né istituzionali né indipendenti.
L’impossibilità per gli studenti di oggi di accedere a tutto questo, unita alla negazione agli artisti dell’ennesima scena nella città di Roma, segna un lutto che Valentina Valentini indica con le sue dimissioni.
Dopo anni di lotte, a questa ennesima infamia, mi domando se esista un interlocutore istituzionale con il quale ricostruire le condizioni che hanno consentito la vitalità della scena romana e la richezza di formazione del Centro Teatro Ateneo.
Ha fatto bene Valentina Valentini a dimettersi. È fondamentale mettere un limite all’inevitabile compromesso che ben conosce chi a che fare con le istituzioni del nostro Paese. È importante dire ‘basta’. Quello che mi auguro è che questo gesto sollevi le questioni che ci sono dietro e che possa migliorare la situazione. Un ulteriore situazione di degrado culturale e di democrazia di una città come Roma già così tanto provata.
Credo non vi sia bisogno di spendere molte parole per entrare nel merito delle questioni sollevate dalle dimissioni di Valentina Valentini dal CTAS. E’ sufficiente leggersi le ventisette pagine della relazione presentata alla “commissione centri per il rinnovo del CTA” relativa agli anni 2012 – 2013 – 2014 per rendersi conto di quale densità di lavoro abbia richiesto la realizzazione di così numerose iniziative volte in più direzioni e di quale entusiasmo e rara dedizione culturale abbia animato la direzione di questo organismo in questi anni. Perciò io mi auguro che le dimissioni di Valentina Valentini vengano respinte, rinnovandole la fiducia e naturalmente rimettendo in discussione tutte le decisioni che le hanno provocate. Mi auguro anche che il Teatro Ateneo, unico nel suo genere nelle Università italiane, possa sviluppare il prestigio che Valentina Valentini ha saputo imprimere attraverso il CTA in condizioni di gravi difficoltà dovute nel caso migliore a pura cecità ed estraneità alla vita della cultura e in quello peggiore a manovre il cui senso rimane oscuro e tendenzialmente vergognoso.
Le proteste sono solo il minimo che possiamo fare e io oggettivamente ormai fatico a trovare le parole. Troviamo un modo piu’ concreto per impedire questo nuovo scempio.
Trovo senza nessuna logica in questo momento continuare a sottrarre spazi e risorse alla cultura per inseguire improbabili guadagni senza ricordare che l’unica ricchezza realmente barattabile oggi è il nostro sapere. Gli altri canali sono vicoli ciechi che non portano più da nessuna parte. L’andamento dell’economia mondiale ci sta dimostrando che dobbiamo ribaltare i principi su cui si basa oggi l’economia. Rinunciare a un’altro spazio culturale è negare questa realtà.
I dati parlano chiaro. A prescindere, però, dal conteggio dei numeri e dai misfatti burocratici (quali la falsificazione di una firma sottobanco), il dato REALE, l’argomento principe del dibattito che si presenta eticamente necessario sulle dimissioni di Valentina Valentini è la profonda dissennatezza del rapporto tra Università e Ricerca. Con l’interruzione brutale di un percorso di ricerca interdisciplinare, di cui la Valentini è una delle pochissime sostenitrici nel panorama accademico nazionale, si sancisce definitivamente quel pietoso e oligofrenico “ritorno al regime” che troneggia dai piani più alti fino alle quotidiane riflessioni sul web e ai cicaleggi insensati intorno allo stato dell’arte in materia di politiche culturali e logiche produttive del settore umanista. Si assiste con animo luttuoso e colmo di rabbia, derivante da un senso di profonda ingiustizia, alla sparizione di quella che era una garanzia, ovvero dell’aderenza tra ruolo svolto in ambito accademico e lavoro svolto sul campo nel corso un’ intera vita. Mi preme in questa sede sottolineare che andando avanti con la privatizzazione e la prostituzione di spazi riservati DI DIRITTO alle nuove generazioni, si attua non solo uno svuotamento etico. Anche l’estetica (in materia generale di processi creativi) risente e risentirà fortemente di tale incontrovertibile decadenza. E sia chiaro, non una decadenza alla belle époque, bensì una decadenza stupidotta, dove la vernice copre la muffa, e il brutto, il banale, freneticamente modellano le coscienze, anch’esse brutte, anch’esse stupide, anch’esse banali. Nel mio percorso universitario raramente ho avuto stimoli, e ringrazio Valentina Valentini per le letture, gli spettacoli, gli artisti, i mondi che mi ha fatto conoscere in questi anni dov’era in gioco la mia formazione, anni cruciali che (attenzione!) nessuno riavrà mai indietro, dunque se non si investono con raziocinio e sotto la guida di personalità degne rischiano di essere anni sterili e preda di passivi dirottamenti. Un altro punto che risulta opportuno affrontare è la drammatica situazione di arretratezza in questo paese in termini di fruizione del contemporaneo e di storia del contemporaneo. In giro c’è una scarsissima conoscenza della storia delle arti performative in Italia dagli anni Settanta ad oggi. Gli anni Ottanta e Novanta ad esempio, risultano ignoti ai più. L’operazione di sistematico annichilimento della memoria storica dunque colleziona un’altra vittoria, corrispondente alla perdita di un luogo come il Teatro Ateneo che da centro di ricerca (e sede di divulgazione di tale memoria) diviene una via di mezzo tra sala bingo, centro commerciale e autogrill. Risulta necessario e vitale che si attui una resistenza a tale deriva, e che si ripristini il rispetto nei confronti di chi come Valentina ha contribuito con le sue pubblicazioni, le sue iniziative e le sue azioni a porre una diga di fronte al torrente di povertà intellettuale in cui le nuove generazioni rischiano di affogare. Una domanda, e una provocazione: chi brinda quando il merito diviene irrilevante? Il buono spirito o lo sciacallo? Io una risposta l’avrei.
Angela Bozzaotra, Roma, 22, Settembre, 2015
Mio figlio, che ha avuto qualche problema, si è laureato nel dipartimento del Dass, ha ottenuto crediti frequentando seminari e rassegne proposte dal Cta, è stato seguito dai professori, dalla segreteria, e si è infine laureato, superando non poche difficoltà. Non è una cosa da poco, e sono grata a tutti coloro che mi hanno dato una mano. In quel teatro sono passati artisti di grande qualità ed era un luogo che accompagnava la didattica, gli allievi, le persone. Ho perso di vista Valentina in questi anni ma sono certa che abbia fatto un buon lavoro e che meriti di proseguirlo. Oggi il teatro è attaccato su tutti i fronti; normative cieche supportano i forti ed eliminano i deboli; in nome di risparmi si va a colpire il già magro settore, chiudendo ogni passaggio a nuove generazioni. Il Teatro Ateneo era questo passaggio, era l’uscio che faceva avvicinare gli studenti al teatro e spero che questa minacciata chiusura sia l’occasione per riaprire un discorso più ampio sulle nuove generazioni e il teatro.
Vorrei esprimere tutta la mia stima e la mia solidarietà per il gesto della professoressa Valentini, per il suo coraggio nel prendere una scelta drastica e fondamentale. Il Dipartimento di Storia dell’Arte e dello Spettacolo, di Arti e Scienze dello Spettacolo, di Lettere Musica Spettacolo Digitale Moda Costume, questa cangiante solo nel nome facoltà, insomma, dell’Università la Sapienza di Roma, è in grado ormai di offrire ai suoi iscritti solamente le due parvenze forse meno pertinenti e più letali per l’oggetto dei suoi studi: teoria e cavilli burocratici, quei due ladroni ovvero, che con fare amichevole assalgono un arte’smarrita in una selva oscura depredandola.
Non è possibile che un’università nella quale si insegni storia del teatro continui ad essere completamente staccata dal mondo pratico del fare teatro.
Se i volti disillusi e demoralizzati dei suoi insegnanti, quelli atrofizzati e disinteressati di tanti suoi studenti, non sono serviti a smuovere le acque appiattite di questa palude stagnante, mi auguro che un simile gesto possa infondere finalmente nuovo coraggio ed entusiasmo in tanti suoi colleghi. Difficile confidare nei miei.
Personalmente, tirando anche in ballo recenti diatribe della critica teatrale virtuale e tentando di assecondarle alla questione, non credo sia ora di tornare a parlare di teatro, ma ritengo che sia giunto il momento di tornare a fare teatro, e con le chiacchiere in una selva oscura non si va da nessuna parte.
Con ammirazione e stima,
grazie.
Matricola – 1154582
Le dimissioni di Valentina Valentini dalla direzione del Centro Teatro Ateneo corrispondono all’unica scelta logica che si potesse prendere di fronte alla scelta amministrativa di tagliare la naturale relazione fra il Centro di ricerca e il Teatro Ateneo. Chi ha preso questa decisione insensata sottovaluta – per ignoranza o per calcolo – l’immensa ricchezza e il potenziale di uno spazio di questo tipo. Non conosce neppure tutta l’abnegazione, l’intelligenza e la sensibilità rara di chi ora si appresta a abbandonare la guida di questa istituzione. Valentina Valentina è una straordinaria intellettuale che ha fatto del teatro e della video-arte la specificità del suo ambito di ricerca: due aspetti che confluiscono nella natura e nella memoria di questo spazio. Critica italiana tra le più apprezzate e conosciute nel mondo si vede oggi costretta a abbandonare un percorso pedagogico unico nel suo genere; per precisione, per ricchezza delle proposte e delle collaborazioni, per originalità. Sembra folle costringerla ora a rinunciare alla sua professionalità. Sembra folle che una Università, degna di questo nome, possa privarsi di questa ricchezza. Chi ha preso la decisione insensata di cancellare un teatro che esisteva, dimostra di non credere alle nuove generazioni di artisti, di studiosi, di critici – e stiamo parlando di Università-; non crede, tout-court, alle nuove generazioni. Chi ha preso questa decisione sottrae loro uno spazio di gestazione e sottrae loro di una guida di straordinaria intelligenza pedagogica. Sottrae loro la possibilità di formarsi e di crescere. Chi ha preso questa decisione perdente impoverisce la stessa Università. Sembra che questa città e questo Paese non vogliano più credere nel primato italiano dell’arte. L’arte del passato – la nostra immensa eredità – non la si può più comprendere e né rispettare se non si crede in quella che sta per nascere e in quella vivente, del nostro tempo.
Forza Valentini, viva il CTA.
I xe drio farte un sporchesso, vegnemo a dire el merito. La “disattenzione” di cui sei vittima sembra presumere che l’insegnamento del teatro possa fare a meno della pratica. Ma l’università non è un luogo per la dissezione di cadaveri (tanto meno “storici”, cioè mummie); è un posto per i vivi.
Non credo ci sia granché da aggiungere, come si può ritenere da parte del rettorato che un centro di ricerca teatrale, in cui nome è Centro Teatro Ateneo, non abbia un teatro dove svolgere le proprie attività? Chiedo semplicemente che il Manifico Rettore de La Sapienza risponda a questa domanda!
Ignorare la storia del Teatro Ateneo, che si è cercato di cancellare con 18 anni di interminabili ristrutturazioni, è azione criminosa nei confronti della cultura teatrale di questo paese, ignorare che generazioni di artisti si sono formati in quelle stanze, spesso anguste, e su quel palcoscenico è riprovevole. Lì abbiamo imparato a fare la cassa, l’organizzazione, l’ufficio stampa, le mascherine, i tecnici, a fare gli attori, ad archiviare e sbobinare vhs, in quei locali diverse generazioni di studenti hanno imparato cosa significasse la parola Teatro, abbiamo sopportato la marginalizzazione, abbiamo assistito all’impoverimento progressivo della struttura Centro Teatro Ateneo, e abbiamo sperato con la nomina di Valentina Valentini, che abbiamo conosciuto oltre venti anni fa, come donna combattiva e mai doma, che finalmente, forse, avremmo assistito ad una riapertura non solo del luogo teatrale in sé ma anche ad un rilancio delle attività didattiche, e invece dobbiamo rassegnarci ad una visione miope di chi governa le istituzioni universitarie. Una visione manageriale della cultura impoverisce la cultura stessa, che invece si alimenta di investimenti perché gli studenti con i loro insegnanti abbiano dei luoghi dove poter costruire sogni, poter immaginare il futuro, e restituire il proprio sapere alla comunità dei cittadini e delle cittadine.
Gianluca Riggi
Esprimo il mio pieno sostegno a Valentina Valentini e il mio rammarico per le sue dimissioni dalla direzione del CTA. Se non ho compreso male, equiparando il Teatro Ateneo all’Aula Magna e affidandolo a un non meglio specificato Centro Servizi, lo si riduce ad un luogo in sostanza da affittare (a chi? con quali criteri?), dunque da sfruttare commercialmente. Un ennesimo sopruso della burocrazia accademica soggiacente alla mera logica del profitto e del tutto indifferente alle ragioni della ricerca didattica e della sperimentazione artistica che vedrebbero il CTA come struttura fondamentale e necessariamente privilegiata per la programmazione e l’utilizzazione del Teatro Ateneo a vantaggio degli studenti, dei ricercatori e degli artisti teatrali.
Forse, non c’è da stupirsi, nell’Italia, berlusconiana o renziana, non c’è un reale spazio per la cultura che non sia di intrattenimento precotto, per la cultura come luogo problematico, complesso, dialettico, anche ‘a rischio’, di ricerca e di interrogazione del sapere.
Certo, che in una università che si denomina La Sapienza accadano determinati sfregi sembra proprio una contraddizione inaccettabile, oltreché una amara ironia.
Anche se i tempi sono demotivanti assai, bisogna comunque reagire, denunciare, protestare. Ribellarsi alle logiche burocratiche-economiciste del potere e del sapere mi sembra ancora (nonostante tutto) giusto.
Alcune domande:
1. A cosa dovrebbe servire il Centro Teatro Ateneo se non a gestire il Teatro Ateneo?
2. Cosa dovrebbe fare un’università che abbia la fortuna di avere al suo interno un edifico teatrale storico (1935), il primo in Italia, dove è passato il fior fiore della cultura teatrale italiana ed europea, se non valorizzarlo? (Per inciso, altre università, come Roma3 e Bologna, si sono fatte in quattro per dotarsi di un loro teatro, o per restaurarlo e farlo vivere con spettacoli e programmi di valore).
3. Quale dovrebbe essere la destinazione di un teatro se non un’attività fatta di spettacoli, laboratori, seminari, quella cosa, insomma, che nonostante abbia circa 2500 anni e sia un pilastro della cultura occidentale, continua a essere negletta e considerata meno che un gioco per ragazzini o teste balzane? (Incidentalmente si può dire che, benché negletta, quella cosa si fa dappertutto ancora oggi, nei teatri e fuori dai teatri, perché rappresenta un antidoto a tante discutibili pratiche del mondo d’oggi).
4. Cosa si potrebe dire di un’amministrazione che fa la vaga, tergiversa, non si pronuncia, lascia che la professoressa Valentina Valentni e l’architetto Luca Ruzza seguano per anni, amorosamente, direi, i lavori del teatro, per poi, a restauro pressoché ultimato, dire: “La cosa non vi riguarda”?
5. Si possono fare congressi e conferenze in un teatro? Volendo, sì, anche se ci sarebbero probabilmente posti più adatti.
6. Si può svolgere un’attvità teatrale in una sala congressi? No. Basta pensare all’aula magna, non bisogna troppo volare di fantasia.
7. Chi e cosa risponderà a quegli studenti (parecchi) che sono attratti dalla prospettiva, occupandosi di teatro, di provare a capire cos’è, e che dovranno andare a cercarlo da un’altra parte, il teatro, perché quello che c’era è stato destinato ad altri usi?
Potrei continuare, ma smetto. Le risposte ognuno può darsele da sé. Intanto, il Teatro Ateneo deve tornare al teatro e la prof. Valentini al suo posto.
Il centro teatro Ateneo è stato per me il luogo più importante di questi 20 anni di collaborazione , con laboratori pieni di studenti e di situazioni di grande creatività. Si è creata quella che io chiamo ” la meglio gioventù” perchè dal 2003 -2007 si sono formati ragazzi”straordinari” che hanno dopo portato al di fuori una visione del teatro e dell’arte, una per tutte Carolina Crescentini (che è diventata una famosa attrice di cinema):Sapere che il centro teatro Ateneo non esiste più e che Valentina Valentini ,donna di cultura e di arte rinomata in italia e fuori italia mi addolora e mi fa molta rabbia, vorrei che tutta la cultura italiana si mobilitasse perchè in quel teatro è passato Grotowsky, Eduardo, Peter Brook,Il Living etc… che ci sia una lotta perchè questo luogo ritorni al suo splendore di “FARO CULTURALE”
L’espropriazione del teatro Ateneo,la sua sottrazione al CTA, è oscena. Poichè cancella la scena , letteralmente, è un atto inguardabile.
Il CTA per anni ha lavorato con studenti ed artisti di teatro per approfondire, sperimentare, studiare, creare memoria.
Togliere agli studenti di Teatro il teatro, impedire loro di affrontare e sperimentare praticamente la materia che studiano è come dar fuoco alle biblioteche, sequestrare le penne agli scrittori , i pennelli ed i colori ai pittori. Come si può apprendere una materia senza praticarla? Studiare arte senza condividerne la creazione con degli artisti sperimentati?
Come è possibile che in un paese come il nostro, che esiste nel mondo per il lavoro svolto nei secoli nelle botteghe di sublimi artigiani, le istituzioni facciano di tutto per soffocare questi focolai?
Cosa sono le università? dove sono i laboratori, la ricerca?
Evidentemente chi ha preso la decisione di sottrarre il teatro Ateneo alla sua naturale destinazione è talmente fuori da qualsiasi nozione di cultura, da non sapere che il teatro è costituito e si nutre di un largo movimento, di una pratica estesa, che il teatro va praticato per essere amato, compreso. La nostra civiltà si è formata in città costruite attorno ai teatri, i nostri teatri sono preziosi, e vanno preservati come dei sublimi affreschi viventi in continua formazione e riformulazione, un caleidoscopio mirabolante di corpi voci immagini. Le continue innovazioni, le possibilità delle nuove tecnologie, dovrebbero trovare nelle università la sede naturale della ricerca e della sperimentazione pratica, con luoghi e spazi appropriati. Come è possibile che proprio questi spazi vengano destinati ad altro?
Il teatro è la presenza, è l’essere. In ogni istante della rappresentazione il presente e l’essenza vengono messi in atto ed interrogati. Gli studenti non hanno evidentemente , secondo chi prende le decisioni sulla loro testa, diritto ad essere , ad essere presenti.
Giorgio Barberio Corsetti
Se il Centro Teatro Ateneo viene considerato “analogo all’Aula Magna dell’Ateneo e verrà gestito da un Centro Servizi e come tale verrà trattato”, come va considerata (e gestita, e trattata) la struttura madre che ha realizzato questa scelta (e quindi chi ha fatto questa scelta)? Queste scelte sono il riflesso di un approccio manageriale che non trova nessun vantaggio nel promuovere realtà come quelle delle CTA. E’ una situazione ormai sempre più invasiva questa che lascia uno spazio d’azione sempre minore alla cultura e alla ricerca. Le dimissioni di Valentina Valentini e il dibattito da lei auspicato sono una di quelle azioni che possono rimettere in gioco un discorso che rovesci questo stato di cose. E spero succeda.
Esprimo tutta la mia solidarietà a Valentina Valentini per una simile scelta dolorosa. La sconfitta non è sua, in quanto riguarda le Istituzioni e le scelte sconsiderate della politica governativa.
Esprimo la mia solidarietà alla prof.ssa Valentini, di cui ammiro l’impegno e comprendo le ragioni che l’hanno spinta, ora, alle dimissioni. Mi auguro che si creino le condizioni concrete per un recupero e una valorizzazione della specificità del Teatro Ateneo, non solo in virtù della sua funzione storica, ma anche per il ruolo che ancora oggi potrebbe (e dovrebbe) assolvere per una crescita culturale in seno alla città e all’Università.
Nel condividere il pensiero e la valutazione del Prof. Franco Perrelli e degli altri illustri colleghi, ritengo personalmente che il graduale smantellamento del Centro Teatro Ateneo sarebbe una perdita grave per la ricerca e gli studi teatrali italiani ed europei. Mi auguro che le Istituzioni preposte possano valutare il ruolo fondamentale che il Centro Teatro Ateneo ha avuto nella ricerca teatrale italiana degli ultimi trent’anni, e che soprattutto diano ancora fiducia alla Professoressa e collega Valentina Valentini che con impegno e competenza, nel corso della Sua direzione, ha lavorato perché il Centro Teatro Ateneo potesse continuare ad essere uno dei centri di ricerca teatrale più significati in Europa.
Esprimo solidarietà a Valentina Valentini e purtroppo comprendo le sue dimissioni. In una situazione come quelle descritta è stata veramente ammirevole a resistere fino ad oggi. Siamo di fronte all’ennesimo episodio di indiffernza e trascuratezza verso la realtà teatrale e universitaria. Ma non solo, con la scusa del taglio dei finanziamenti, in verità si vuole cancellare la memoria e la vita del teatro che, come ci hanno insegnato gli storici, costituisce uno spazio del quale il potere ha timore. I simboli della vita culturale di questo paese, e credo non solo della città di Roma, preoccupano e rattristano. Penso che sia necessario riuscire a dimostrare l’importanza della vita del teatro e sottolineare come possano esistere esempi di buona gestione a cui fare riferimento. Sono vicina a Valentina e pronta a fare quanto possa essere possibile per far sentire più forte la nostra voce a nome dell’Università di Venezia Ca’ Foscari e del Centro Studi Teatro della Fondazioen Giorgio Cini di Venezia.
La storia delle discipline teatrali in Italia non sarebbe la stessa senza il contributo che il Centro Teatro Ateneo ha saputo dare.
Questo Paese ha bisogno non solo di non rinunciare ma di rafforzare le opportunità di vita culturale ed artistica e non si può togliere al CTA la gestione del Teatro Ateneo come se nulla fosse!!
Concordo e mi associo all’augurio che possano registrarsi ripensamenti in merito alle funzionalità del Teatro Ateneo e che la prof.ssa Valentini possa di conseguenza ritirare le dimissioni e riprendere la sua preziosa promozione culturale nelle migliori condizioni.
L’equiparazione del Teatro Ateneo ad un’aula magna e l’avocazione al rettorato della sua gestione parlano di due cose chiare: profonda radicale ignoranza (di cosa sia un teatro, di che funzione abbia, di come lo si viva, di cosa lo distingua dagli altri spazi, ecc.) e prepotenza cieca che vede l’ateneo come luogo di lotte di potere e non come struttura incentrata su, e quindi dedita a, didattica e ricerca.
Il fatto che questo stato di cose sia endemico in quasi tutta l’Accademia italiana non deve spingerci alla rassegnazione. Quello che è successo è uno scandalo. L’isolamento e il silenzio in cui è successo è non meno scandaloso.
Che le forze del teatro si uniscano per far pressione e restituire il Teatro Ateneo all’attività teatrale e alle istituzioni, quali il CTA, che all’interno de “La Sapienza” la rappresentano al più alto livello di competenza scientifica e artistica. Si restituiscano al CTA gli spazi necessari a curare il suo straordinario archivio video e a svolgere i laboratori teatrali, parte fondamentale della ricerca teatrale.
E’ molto triste questa vicenda! Con le dimissioni di Valentina Valentini la Sapienza perde l’opportunità non solo di riattivare uno spazio culturale storico dell’Università, ma rinuncia anche a inserirsi in un vuoto di proposta, che caratterizza ormai da tempo la città. Il Teatro Ateneo avrebbe potuto proporsi come uno dei motori del rilancio creativo e culturale della capitale. Confido che ci siano ancora i modi e il tempo per far cambiare idea alla Direttrice dimissionaria, sulla base evidentemente di nuove condizioni di vita del Centro.
Un altro segnale inquietante dalla mia ex città, ma anche da quella che per qualche tempo è stata la “facoltà” che avevamo di vedere spettacoli importanti “all’Ateneo”, o in altri teatri comprando però sempre lì i biglietti a prezzo ridotto…Valentina Valentini mi faceva intravedere cose belle per quel luogo…evidentemente queste cose belle non trovano un clima fertile…nemmeno quando si lavora forte per questo
Cara Valentina
in quanto storica dell’arte contemporanea ,intellettuale e critico d’arte ho in altre occasioni segnalato la gravità della chiusura del Museo laboratorio di arte contemporanea ponte tra storia accademica dell’arte e sperimentazione aperta alla città che ha avuto in passato un grande prestigio :l’incontro tra storici e artisti ha prodotto risultati sperimentali notevoli così come avviene in tante realtà soprattutto straniere. Ora si pone il problema del Teatro ateneo che rafforza la chiusura di una gestione culturale sempre più provinciale ,asfittica e povera di senso. Abbiamo subito in passato una accademia intesa come luogo di competitiva lotta per i concorsi che ha impoverito il dibattito su temi di grande respiro,ha posto uno contro l’altro docenti anche di valore che hanno creduto e credono ancora che sia necessario fare compromessi per vincere battaglie prive di qualità, procedere alla esclusioni di alcuni per favorirne altri. Questa meschina competizione ha indebolito il ruolo culturale e di sperimentazione della università e soprattutto della città e i suoi legami con i luoghi della cultura-Accademie straniere- Istituti di cultura- e sempre più crescono le strutture private che pretendono di sostituire con Faculty ad alto costo l’impoverimento generale di un paese privo di fondi di ricerca ,di una città che è bloccata da Sovrintendenze combattute tra conservazione e valorizzazione. Io per anni mi sono battuta per trovare un nesso tra cultura militante e accademica e ora credo che sia arrivato il momento che tutti ,colleghi,attori,intellettuali- dove sono oggi gli intellettuali?- Il loro,il nostro silenzio assordante inquieta, e ripeto tutti dobbiamo esprimere con la sola arma che abbiamo, la CULTURA un netto no a un degrado sempre più soffocante ,a una classe intellettuale e politica morta. E siamo qui a Kantor sul quale ho molto da dire.
anna nassisi
Le dimissioni di Valentina Valentini dalla direzione del CTA aprono uno scenario particolarmente inquietante sugli orientamenti culturali che il Teatro Ateneo rischia di poter decidere di assumere, conformandosi acriticamente alle strategie di mercato che oggi sembrano essere diventate un dogma. Molti segnali, del resto, si erano già potuti cogliere in tal senso. Non ho nulla, ci mancherebbe, contro l’opportunità che la cultura alta produca lavoro, profitti e investimenti. Il punto è che senza la libertà, l’audacia e perfino l’impopolarità della sperimentazione – nella quale il Teatro Ateneo ha garantito livelli di avanguardia proprio grazie all’opera del CTA – non si ottengono risultati di nessun genere.
È necessario che la delibera che estromette il CTA dal coordinamento scientifico del Teatro Ateneo venga ritirata e che le dimissioni della prof. Valentini possano rientrare.
Mi sembra privo di senso che un luogo prestigioso, dove è passato gran parte del vivo e grande teatro italiano, europeo e del mondo (teatro di ricerca, di pensiero, di sperimentazione) rischi di diventare un ufficio anonimo e morto. Non può essere. Non deve essere. E intanto ha fatto bene Valentina Valentini a dare le dimissioni.
A nome della Consulta Universitaria del Teatro, che raccoglie i docenti e i ricercatori di materie teatrali dell’università italiana, di cui sono presidente, voglio esprimere stima profonda per il lavoro sin qui svolto dalla prof.ssa Valentina Valentini presso il Teatro Ateneo. Le sue dimissioni destano preoccupazione per i destini scientifici di una struttura che è stata (e potrebbe ancora essere) strategica per la cultura teatrale italiana. Ci si augura vivamente che possano registrarsi ripensamenti in merito alle funzionalità del Teatro Ateneo e che la prof.ssa Valentini possa di conseguenza ritirare le dimissioni e riprendere la sua preziosa promozione culturale nelle migliori condizioni.
Valentina ammiro molto la forma di questa tua lettera, con coerenza e chiaramente esprimi le tue ragioni, sono certo che tutti gli studenti che in questi anni assiduamente hanno partecipato ai laboratori del Cta, sentiranno ora tutto il rammarico di aver perso una persona di qualità che ha agito esclusivamente nell’interesse della loro formazione culturale. Purtroppo quello che ti è successo si inserisce poi in un ben più ampio contesto, ovvero quello del ruolo di assoluta marginalità che la cultura ha assunto in questa nostra derelitta società. Trasformando di fatto le istituzioni pubbliche in aziende private, la cultura è diventata una merce come tante altre, utile per far cassa e soddisfare gli scopi edonistici e auto celebrativi di chi la finanzia.
p.s Nel tariffario della Sapienza si legge che per “location ed eventi” affittare l’Aula Magna per un giorno costa € 5.000, affittarla fino alla seconda partizione della gradinata (500 posti)
€ 3.500. Mi domandano se non abbiano già un tariffario pronto per il nuovo Teatro Ateneo.
Vorrei sapere ci si può incontrare per fare qualcosa di concreto? Questa è la mia email…(cancellata dal moderatore per motivi di sicurezza)
Ho svolto il mio percorso di formazione (triennale e magistrale) all’interno del Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo (ex DASS), nei corsi di Arti e Scienze dello spettacolo, negli anni che vanno dal 2006 al 2014. Un percorso lungo, fatto di interruzioni e riprese dovute anche ad una situazione insostenibile degli spazi, dei corsi e, soprattutto, della programmazione. All’inizio sbattuti in aula V della “defunta” facoltà di Scienze Umanistiche, poi a fare esami (di cui l’appello, durava anche delle settimane, con 600-700 persone) nell’edificio del Teatro Ateneo, buttati, nell’attesa, in un corridoio dove si poteva stare al massimo in 5 perché non “a norma”, quindi rigettati nella spianata adiacente la chiesa all’interno dell’Università come animali da pascolo. Con l’apertura delle “ex” vetrerie Sciarra, via dei Volsci, la situazione dei corsi e degli esami si è, per cosi dire, “normalizzata”, grazie anche al fatto che in laurea magistrale il numero degli studenti è molto più basso. C’era, però, una domanda che continuava a venire a galla: perché per studiare teatro e arti performative mi mettono dietro un “banco” con davanti un computer? Perché, all’interno di un ateneo come quello della Sapienza, non c’è un luogo dove affrontare le specificità delle materie che affrontavo nel mio percorso di formazione? Perché mi sentivo come un medico senza un ospedale in cui far pratica, pagando anche le tasse universitarie?
Grazie all’apertura della prof.ssa Valentini, oggi riesco a dare una parziale risposta. Nella delibera del 24 giugno 2014 leggo: “Il Presidente evidenzia come lo spazio del teatro sia assimilabile all’Aula Magna: si tratta infatti di locali altamente rappresentativi dell’Ateneo, riservati allo svolgimento di attività di particolare rilievo istituzionale e culturale”. L’assimilabilità tra un teatro universitario e un’Aula Magna è una dichiarazione cieca, brutale e indegna del CdA di un’università e spazza, con una sola frase, tutto il lavoro fatto in 60 anni per costruire una specificità teatrica e performativa. Evidenzia la miopia degli organi dirigenziali dell’Ateneo nel non riconoscere, nei propri percorsi formativi, la necessità di scelte che portino ad un’alta specializzazione in grado di competere con il resto delle università mondiali. L’Ateneo sceglie di percorrere la strada dell’omologazione (un teatro universitario non è uno spazio di rappresentanza, ma uno spazio necessario alla ricerca), invece che quella della diversità, che dovrebbe essere sempre salvaguardata all’interno di una università. Ancora; l’Ateneo sceglie di dare una funzione istituzionale ad uno spazio che, per vocazione storica, ha sempre avuto funzione di ricerca (insieme al Centro), ed ha prodotto accadimenti e processi che tutto il mondo ci invidia. Cosa ancor più grave, l’Ateneo decide di sottratte ai “futuri” studenti uno strumento necessario e fondamentale, per l’insegnamento specifico della materia, per l’incontro con gli attori del settore, per creare professionalità da inserire nel mondo del lavoro, tema tanto caro all’Università di oggi.
Il CTA nasce per queste motivazioni, e per queste motivazioni deve continuare a vivere e a essere valorizzato all’interno dell’Ateneo, dotandolo degli strumenti adatti a svolgere le sue funzioni. In un rapporto di valorizzazione reciproco tra Università, Teatro Ateneo e Centro Teatro Ateneo si possono trovare le soluzioni per le problematiche economiche denunciate nella delibera del 21 luglio 2015.
Spero che il CdA dell’Ateneo, e in particolare il rettore Gaudio, non permetta che altri studenti debbano subire le vessazioni e il mal tolto che noi abbiamo subito in quegli anni: studiare Teatro e Arti performative trovando sempre la porta del Teatro Ateneo inesorabilmente chiusa e silente.
Spero anche che il CdA dell’Ateneo abbandoni la politica di smantellamento delle materie teatrali.
IL TEATRO ATENEO NON E’ UN’AULA MAGNA.
Infine faccio una domanda a tutto il corpo docente: come potete permettere una scelta così culturalmente degradante e omologante? DOVE SIETE?